...Una storia diversa... Click
on the pictures to enlarge Tanto e' gia' stato scritto
sulle origini di Supino ed e' pertanto superfluo ritornare sui luoghi comuni,
sulle citazioni storiche, sugli avvenimenti inconfutabili che il tempo ci ha tramandato.
Del resto il castello e' sul monte "Punta di Creta Rossa", le case,
i palazzi, le chiese e i ruderi sono li a dimostrare che da un lontano passato
sono stati occupati da esseri umani. La cronaca di Fossanova avvalla il tutto,
almeno a cominciare dal secolo XII. Sembra che tutti gli scrittori moderni, per
paura di sbagliare, per pigrizia, per non essere controversi o solo ignorando
l'evidenze s'impuntano ad attribuire le origini del nostro Supino a quanto scritto
sulla cronaca. Il nome odierno del paese, irrespettivamente da quando se ne e'
cominciato l'uso, e' da considerarsi solo un nome e che sia Supino, La Rava o
chi piu' ne abbia piu' ne metta i fatti non cambiano. Cosi' non cambia
la verita' storica che un paese esistesse nei pressi di Ferentino, e che si chiamasse
Ecetra, Luca o Satrico non cambia punto nella ricerca per appurare o fugare il
dubbio, per accertare dove le radici siano o erano piantate e quando e come la
metamorfosi avvenne. Percio', su una base personale, voglio proporre al (giovane)
lettore un'ipotesi diversa e provocante. Voglio far notare che parlo in prima
persona poiche' gli eventi, come sono esposti, sono la mia personale esperienza
e non acquisiti per sentito dire. Immediatamente dopo la seconda guerra
mondiale, come era consueto, mia madre come tante donne supinesi andava una volta
alla settimana a lavare gli indumenti a "Privito". Mi portava spesso
con lei ed io giocavo tra le siepi e i prati adiacenti alla fonte. Caddi in acqua
e mia madre mi tolse i panni insuppati, mi rivesti' di un pigiama preso in prestito
da una delle donne (questo pigiama era di una bambina e l'incidente fu la causa
diretta di moltissimi imbarazzanti momenti quando piu' grande passavo sotto la
sua finestra e lei ammicante sorrideva). I miei panni appesi ad una delle siepi
si asciugarono e io mi rivestii. Ma
nel rivestirmi notai che dalla siepe a cui erano appesi i miei panni, fuorusciva
un muro e una vicina siepe, piu' piccola, esibiva la stessa cosa. Mi colpi' questo
fatto cosi' tanto che ritornai piu' tardi negli anni a chiedermi che cosa ci facessero
queste mura vicino alla fonte "Privito". Le numerose visite mi fecero
osservare anche la presenza di un rudere presso la stradina d'accesso all'angolo
della Morolense. E con il ritrovamento casuale di alcuni oggetti che oggi dimostro
su questo sito mi convinsi che si trattasse di una vasta necropoli situata tra
la fonte, la Via Morolense, la Via la Mola e l'accesso alla fonte dalla Via la
Mola dove e' ora la cabina elettrica. Preciso che quasi tutta l'area e' stata
sbancata per la cava del tufo e delle tombe forse ne sono rimaste ben poche, alcune
ancora visibili guardando il profilo superiore dello sbancamento. Ma torniamo
indietro negli anni. Mio nonno, da parte materna, raccontava che nel cavare
il tufo per costruirsi la casa trovo' "L'Impero Romano", queste le sue
parole, con lui un parente di mia nonna. La ricerca di questo oggetto occupo'
molto del mio pensare per lungo tempo ed eventualmente chiesi a mia madre chi
poteva essere questo parente che con mio nonno ritrovo' "L'Impero Romano".
Trovai la famiglia e la figlia di questo parente. Nel chiedere notizie della cosa
l'anziana signora come risvegliata da antichi sortilegi si diresse verso un punto
specifico della casa e con grande dispiacere ritorno' e mi disse che non era piu'
dove il padre le aveva detto di riporla. La casa di mio nonno fu costruita nel
1930, mio nonno mori' nel 1948 e i ritrovamenti dell'anforetta sono degli anni
1956-57; nel 1959 andai militare. Nel 1986 con la pubblicazione del libro
degli statuti potei finalmente vedere, anche se solo in fotografia, "L'Impero
Romano" di cui avevo tanto sentito parlare e cercato (Il tempo di Frosinone
nel 1963 parlo' di questo bronzetto). In questo libro difatti c'e' la foto di
una statuina di bronzo ritrovata anni fa, ma, a meno che non si tratti di altro
reperto, la nota esplicativa erra nel dire che fu ritrovata durante gli scavi
nella zona "Privito". In questa zona di scavi non se ne fecero mai,
semmai le mine furono fatte brillare con enorme frequenza al grido di "esso
la mina". Teschi, ossa umane e monetine saltando in aria rotolavano tra le
ciocie delle donne impaurite che lavavano a "Privito" e andavano a stendere
i panni sulle siepi vicine, siepi che nascondevano, forse, la chiave della storia
del paese...o perlomeno la presenza di una citta' piu' antica, forse una delle
sette scomparse all'epoca che Tito Livio scriveva. Ora pero' ritorniamo
alla mia storia... Quando ritornai a Supino, nel frattempo la mia famiglia
si era trasferita a Colleferro, trovai che tra la fonte Privito e la Via Morolense
era stato costruito uno stabilimento per la ricostruzione di pneumatici:- sparite
erano le costruzioni tronco/coniche, spariti i ruderi vicino la strada di accesso
a Privito. Il tutto, fui informato, fatto saltare in aria con la dinamite. Fui
informato altresi' che dai ruderi fatti saltare in aria uscirono molte monete,
alcune luccicanti, e pezzi in terracotta, i piu' ben conservati furono affidati
in sacrestia mentre due o tre sachetti postali di monete affidati ai carabinieri:
Vedi foto dal giornale "Il Tempo di Frosinone" dell'Ottobre l963. In
questo articolo gli oggetti furono identificati come ritrovati agli scavi delle
terme, cio' non e' vero affatto, il giornalista all'epoca prese una gran cantonata
o fu intenzionalmente informato male: Gli oggetti nella foto provengono dalle
due costruzioni tronco coniche (Favisse) fatte saltare in aria per far posto allo
stabilimento. Dato che siamo in tema archeologico esaminiamo i fatti che portarono
alla scoperta dell'ambiente termale alla "Cona Del Popolo". So
benissimo di aver detto di lasciare i luoghi comuni e basarsi sui fatti; e i fatti
sono andati cosi': Dopo tutte le piccole scoperte, l'Impero Romano che ancora
mi eludeva, l'anforetta ritrovata vicino alla cabina elettrica, la spilla ritrovata
durante lo scavo per le fondamenta di una casa, le costruzioni tronco coniche,
le monetine che saltavano quando si cavava il tufo nelle vicinanze di "Privito"
e poi i pezzi in terra cotta (piu' tardi fotografati, insieme alle monete, sulla
soglia della sacrestia sopra ad una edizione del Tempo) spinsero la mia curiosita'
al massimo. Rifacendomi al rigo di Tito Livio "Cum Volscis inter Ferentinum
atque Ecetram, signis collatis, dimicatum; Romanis secunda fortuna pugnae fuit".
Cioe' "I Romani combatterono i Volsci tra Ferentino ed Ecetra e vinsero",
mi chiesi se ci fossero segni che indicassero l'avvenuto.
Si rivelo' in
quel momento solo uno spunto e domenica 13 Ottobre l963 io e mio cognato andammo
a scavare nel punto che sembrava piu' logico per trovare qualcosa, per la presenza
di sassi, tegole, ed altri indizi quali "tesserae" di mosaici bianchi
e neri (che i contadini locali chiamavano denti di cavallo). Cosi' nella mattinata
di quella domenica la pala toccava qualcosa di solido solo a 30-35 cm dalla superficie,
tra grida di gente che ci vedeva dalla strada chiamandoci pazzi, venne alla luce
il mosaico del Nettuno. Il pomeriggio intervennero i carabinieri e gli scavi procedettero
piu' tardi fino alla scoperta dell'altro mosaico (quello del Tritone) e del resto
del complesso termale. Certo
e' da confessare che cercavamo Ecetra. Presto subentro' la certezza che quello
che avevamo fortunosamente trovato era di gran lunga piu' tardo. Tutto questo
tafferuglio certamente stimolo' la mente ad alcune persone, notevolmente al sindaco
di allora. In qualche modo, e cio' non in relazione alla scoperta dei mosaici,
ma in precedenza, il sindaco procuro' una fotografia gigante della zona, che era
stata scattata dalla RAF nel l944. In essa io, il sindaco, il parroco e due altre
persone ancora viventi, abbiamo avuto modo di osservare come in una zona compresa
tra la Via la Mola e i Colli, alla fine, di allora, della Via Polvino e il ponte
Chiarella si notavano nitidamente i dettagli perimetrali di qualcosa non definibile
ad occhio nudo sul luogo.
I contorni erano cosi' ben visibili che il sindaco
d'accordo con il parroco autorizzo' e impose a tutti i dipendenti comunali addetti
alle pulizie di effettuare uno scavo "sotto le due querce". Pur non
essendo stato trovato nulla di conclusivo poiche' si scavo' solo fino a due metri
di profondita' nel mezzo della collina (un giorno di lavoro) si trovarono pezzetti
di coccio nel terriccio che oviamente non era stato disturbato per centinaia di
anni. Mi sono sempre chiesto come erano andate a finire quei pezzetti di terracotta
nel mezzo di terra indisturbata e la possibile risposta la trovai un giorno osservando
il panorama dal muro antistante la chiesa di San Pietro che volge verso la campagna
in direzione Tomacella. Fenomeno unico in quella zona pedemontana e' la
piccola valle chiamata "I Fai" con allora una fonte scavata nella terra,
quasi una pozzanghera, ora una bella fonte con due getti d'acqua canterini. Se
osserviamo bene, anche sulle foto dal satellite, vediamo che i Monti Lepini scendono
in pianura gradualmente in dolce pendio tuttintorno. Ma dietro la chiesa di San
Pietro si e' formata una valletta; come se una enorme massa di fango si sia staccata
dalle falde tra il monte di "Punta di Creta Rossa" e "Il Vincolo"
e d'inerzia sia proseguita verso la campagna formando le colline tra la Via la
Mola, il Farneto e il fosso Rufoli in fondo a Via Polvino in effetti seppellendo
cio' che rimase dopo la distruzione da parte dei romani. Cio' potrebbe anche spiegare
perche' di Ecetra, Luca o Satrico comunque sia stata chiamata la citta', non se
ne e' piu' parlato: una volta sepolta non rimasero motivi di ricordarla. Sono
consapevole che e' solo un ipotesi ma poi mi devo chiedere:
1) Che cosa videro il sindaco, il parroco e altri tre paia di occhi
su quella foto per mandare i dipendenti del comune a scavare sotto le querce del
prato? 2) Il bronzetto di evidente fattezze etrusche venuto alla
luce vicino a "Privito" e' un sogno? 3) Se vi era una
vasta necropoli, e sono sicuro che alcune tombe ancora ci sono, puo' essere un
indice che una citta' ragguardevole esistesse nelle vicinanze? 4)
Le favisse (cosi' si chiamavano i muri vecchi coperti di rovi che vidi da bambino)
e i ruderi sono una certezza che vi era una citta', anche giudicando dai reperti,
ed e' da presumere che qualche pezzo di piu' alto valore sia in possesso di qualcuno,
racimolati dopo il brillare delle mine. 5) Dalla foto del giornale
del 1963 sembra vedere che alcuni pezzi in terracotta ricordano gli stili di oggetti
trovati nelle tombe etrusche dell'Alto Lazio. E' possibile che Ecetra (o Luca,
o Satrico, o...) sia proprio li dove fu sepolta improvvisamente dopo la distruzione,
dato che improvvisamente non se ne parla piu' dal 370 A.C.? 6) Le
tombe, le favisse, il tempio, la fonte, e da non trascurare i reperti anatomici
in terracotta, fanno pensare ad una divinita' introdotta nel VII-VI secolo A.C.
nel Lazio dai Greci. Questa divinita' era il dio greco della medicina, Esculapio,
a cui fra l'altro si attribuivano non solo la guarigione dei malati ma addirittura
la resurrezione dei morti. Viene logico pensare (e la quantita' di tombe che andavano
da vicino alla fonte fino verso la Via la Mola lo confermerebbe) ad un insediamento
considerevole e farebbe risalire l'uso del cimitero intorno al VI o V secolo A.C. 7)
Tutte le tombe osservate attraverso gli anni erano sul banco di tufo. Gli antichi
credo che avrebbero preferito sepellire i loro morti sotto la terra, la terra
essendo piu' facile da scavare. Che cosa a portato questa gente a scavare il tufo
che e' molto piu' duro se non la necessita' di avere i loro defunti piu' vicini
possibile ad una fonte purificatrice e al tempio della resurrezione e della salute? 8)
Una delle osservazioni di piu' peso sull'ubicazione di Ecetra di non essere
nella piana e nelle vicinita' di Supino e' quella del Bianchi che si riferisce
al fatto che i romani dopo aver distrutto Ecetra si diressero verso Artena (sempre
Livio che parla alcune centinaia di anni dopo). Cio' implicherebbe il fatto
che Ecetra stava prima di Artena venendo da Roma, ma chi puo' sapere con certezza
che i romani venivano da Roma? E se venivano da Carpineto o da Priverno che erano
gia' colonie? Se Ecetra stava prima di Artena come poteva essere un centro Volsco
cosi' vicina a Tuscolo e alle altre colonie gia' romane? Vedendo oggi le foto
dal satellite della zona dei Lepini, allora Monti dei Volsci, anche da Roma e'
piu' vicino costeggiare le Paludi Pontine dalla parte dei monti e discendere sulla
pianura del Sacco attraverso il passo della Palommara, e penso che i romani lo
sapevano! Vorrei concludere questa mia diatriba con
il far giusta luce alla storia di quel libro che fu reperito "presso un emigrante
che lo aveva trafugato". Mi riferisco al libro degli statuti che nel
1991 fu riportato con tanta fanfara a Supino e che meno di dieci anni piu' tardi
andai a riprendere ancora una volta nello stesso scantinato dove lo presi originariamente
nel 1952-53 (l'evento e' filmato e disponibile). Ma andiamo in ordine cronologico. L'emerito,
allora maestro, Mario Cerilli istitui' nel 1950-51 un centro di lettura. L'idea
era quella di andare a leggere nell'aula magna del comune cosi' da potersi scambiare
i libri e tutti averne accesso. In una serata piu' fredda del solito chiedemmo
di accendere i termosifoni e l'addetto fu chiamato per l'opera. Con la curiosita'
che mi ha sempre distinto andai negli scantinati a vedere in che cosa consistesse
l'accendere dei termosifoni. L'addetto prese dai polverosi scaffali un "libraccio
vecchio" ne strappo' alcune pagine, l'accese e cosi' diede fuoco alla caldaia
che aveva gia' caricato di legna. Fui impressionato dal funzionamento dei
termosifoni che presto cominciarono a riscaldare l'ambiente, ma piu' ancora m'impressiono'
il metodo d'accenzione e il materiale usato per l'innesco. Ne parlai al maestro
Mario e decidemmo di recuperare e leggere/vedere qualche libro che era rimasto
negli scantinati, scendemmo e prendemmo i tre libri rimasti di una evidente piu'
vasta collezione di "libracci vecchi". Uno dei libri era di particolare
interesse, poiche' parlava, tra l'altro e in latino, di non mandare le capre nel
podere di Santa Serena durante un certo periodo dell'anno. Ci rendemmo conto
del contenuto del libro e della sua funzione e fu tenuto a disposizione di tutti
per un periodo di qualche anno. eventualmente il centro di lettura fu chiuso e
ognuno si riprese i propri libri. Tra i miei capito' il libro degli statuti, tra
quelli di un'altro lettore uno che elencava le registrazioni di doti, cambi di
proprieta', lasciti e simili, uno ancora che mi sembra fosse un registro di nascite
e morti e non ne conosco il fato. Fu questo messo tra l'Odissea e l'Iliade
avvolto in panno cerato e conservato. Nell'emigrare nel 1965 fu lasciato a
Supino con gli altri miei libri, ma undici anni piu' tardi li portai tutti con
me in Canada. Il libro rimase conservato, ma non dimenticato, avvolto in plastica
in frigorifero, fino al 1984-85 quando il sindaco A. Volponi in visita a noi "emigranti",
che io preferisco chiamare "emigrati", in discussioni di storia supinese
rivelo' un distinto e profondo interesse nel libro anche in vista del fatto che
il suocero prof. Cesare Bianchi esperto in cose simili, avrebbe potuto far giusta
causa e tradurre lo scritto come gia' fece per gli statuti di Ferentino. Ci
si accordo' di fare fotocopie da portare in Italia e cosi' nel 1986 fu pubblicato
il libro con la traduzione a fronte per tutti da leggere e capire. Come molto
prima mi ero ripromesso, ed ora molto piu' rassicurato della cura che avrebbe
potuto ricevere, lo feci restaurare usando, dove mancava, la pelle del tipo originale
usata al momento del rilegamento avvenuto presumibilmente nel 1530-34. Si
potra' notare sul tomo originale ora in possesso del comune di Supino che la pelle
usata e' la stessa considerando la differenza d'eta'. La stessa pelle, di
renna tedesca, fatta venire appositamente fu anche usata per fare una elegante
teca per ospitare il tomo ora stabilizzato. Dopo
il restauro, e che sia detto per inciso costo' parecchio, fatto in parte anche
con l'assistenza finanziaria del Supino Social and Cultural Club di Toronto e
quindi tutti i supinesi all'estero, con l'interessamento delle agenzie di viaggi
Tempo Travel e Verulanum dei sig.ri Daniele Boni e Pierino Piroli, il libro degli
statuti ritorno' al comune di Supino dopo piu' di trenta anni d'assenza. Ampia
documentazione, anche fotografica, esiste dell'evento. Un
commento che voglio fare di tutto cio' e' che il libro degli antichi statuti fu
salvato da certissima distruzione, anche per merito mio, fu tenuto conservato
e restaurato a spese ed interesse mio e per mia volonta' riportato a Supino dove
ho sentito il dovere di riportarlo poiche' e' sempre stata mia la convinzione
che li' appartenesse. Ogni accusa di sottrazione lerciosa non l'accetto essendo
solo l'opinione di qualcuno che ha preferito aprire la bocca prima di usare il
cervello e ricercare la verita'; del resto i fatti lo dimostrano piu' che sufficientemente.
Anche Cesare Bianchi asserisce che "Uno, quello ritenuto l'originale, trovasi
in Canada... Tale ms. e' attualmente custodito (non sottratto) dal sig. Carbonelli
Ernesto di Supino (e non ritrovato presso un emigrante). Basti considerare
che sarebbe bastato omettere il fatto e nessuno l'avrebbe saputo, come successe
per "L'Impero Romano" che oggi e' sottratto alla vista e godimento dei
supinesi, ma non solo, ne nega addirittura un'origine piu' antica, forse piu'
nobile, e cio' fa veramente male...
Ernesto
Carbonelli Toronto 7 Aprile 2002 P.S.
Nei pressi di "Fontana Gelatina", nel campo di Patrica, a ridosso della
collina chiamata "Le Coste della Madonna" (opposto ai nostri "Gli
Cogli") si trova una scalinata, intagliata nel tufo, che da su un pianoro.
Questa scalinata l'ho sempre conosciuta come "La Scala dei Saraceni"
e in uno dei miei viaggi in Italia l'ho visitata. Potrebbe essere studiata?...
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